L’acufene è la percezione fantasma di un fischio, un ronzio, un tintinnio o uno squillo alle orecchie in assenza di un reale input uditivo che proviene dall’esterno. Può manifestarsi in via episodica, una tantum. Oppure diventare una vera e propria condizione cronica. Reiterata. Quest’ultima evenienza è molto diffusa, basti pensare che secondo alcune recenti statistiche colpisce circa il 10-15% della popolazione adulta.
E fino al 45% nella popolazione anziana.
In questi casi, l’acufene ha un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla salute mentale di molti pazienti. Il disagio generale spesso si accompagna a depressione, ansia e irritazione, ma anche problemi di sonno e concentrazione.
Gli esatti meccanismi neurofisiologici alla base dell’acufene sono tutt’oggi materia di studio. Si ritiene, comunque, che alla base ci possa essere un danno alle cellule ciliate dovuto all’età oppure all’esposizione a forti rumori.
Dato che nei pazienti con acufene si riscontrano cambiamenti neurali diffusi, specialmente nelle regioni frontali, secondo alcuni studiosi sembra probabile che siano associati anche a deficit cognitivi.
A questo proposito, un team di studiosi della Georgetown University Medical Center di Washington ha condotto uno studio con lo scopo di esaminare le differenze di volume della materia grigia e di spessore corticale tra pazienti con acufene e senza (corrispondenti per età e perdita dell’udito).
“Abbiamo esaminato le capacità cognitive generali e le prestazioni della memoria di lavoro in tutti i partecipanti, nonché il disagio correlato all’acufene nei pazienti con acufene, al fine di correlare tali effetti alle misure neuroanatomiche ottenute”, si legge nel paper pubblicato su Hearing Research.
Acufene e deficit cognitivi: lo studio
Hanno partecipato allo studio 20 pazienti con acufene e 20 volontari di controllo abbinati per età, sesso e perdita dell’udito. Tutti e 40 sono stati sottoposti a risonanza magnetica e audiometria, nonché a valutazioni cognitive.
“I nostri risultati dimostrano un aumento del volume della materia grigia nel giro frontale medio e nel polo frontale tra i pazienti con acufene rispetto ai partecipanti di controllo”, scrivono gli studiosi, i quali hanno osservato anche un aumento dello spessore corticale nel precuneo associato al disagio dell’acufene.
In sintesi, gli autori hanno riscontrato abilità cognitive inferiori nei pazienti con acufene: questa riduzione è risultata associata ad un aumento dello spessore corticale. Secondo i ricercatori, questo potrebbe derivare dal fatto che i pazienti con acufene impieghino più risorse mentali per cercare di attenuare e ignorare l’acufene, distogliendo in qualche modo quelle risorse cognitive che potrebbero destinare ad altre attività.
“Gli individui che non soffrono di acufene mostrano prestazioni migliori con uno spessore corticale più elevato e sembrano avere più risorse per completare compiti che richiedono capacità cognitive come concentrazione, attenzione e memoria a breve termine”, sottolineano i ricercatori statunitensi.
Tuttavia, sono necessarie ricerche future per studiare ulteriormente questa associazione.